Ero solo un adolescente quando il 23 maggio del 1992 venni a sapere
della brutale uccisione del Giudice Falcone cui seguì, a distanza di
nemmeno due mesi la strage di Via d'Amelio.
Fu uno di quegli episodi che colpiscono la mente e il cuore al pari del crollo delle Twin Tower.
Quando
ho saputo che Pif, alias Pierfrancesco Diliberto, già la scorsa estate
stava iniziando a girare un film tutto suo dedicato a quel triste
periodo storico del nostro Paese mi si sono drizzate le antenne perchè
da assiduo telespettaotre de "Il Testimone" mi sono subito chiesto se la
pungente ironia della ex Iena si sarebbe riuscita a sposare con
avvenimenti così crudi e toccanti.
Lo dico senza indugi, la risposta è assolutamente affermativa.
La
mafia uccide solo d'estate è un film a mio parere molto interessante.
E' una pellicola che nel panorama cinematografico natalizio italiano, fatto di commedie goliardiche e trionfo di buoni sentimenti a palate, rompe sicuramente gli schemi raccontanto un pezzo di storia Italiana molto scomoda.
E' una pellicola che nel panorama cinematografico natalizio italiano, fatto di commedie goliardiche e trionfo di buoni sentimenti a palate, rompe sicuramente gli schemi raccontanto un pezzo di storia Italiana molto scomoda.
Punto di partenza di questo racconto e l'insolita
passione di un ragazzino, Arturo, per uno dei personaggi più criticati
della poltiica italiana, Giulio Andreotti. L'innocenza con cui Arturo
crede che Giulio Andreotti sia una persona per bene è in realtà
l'ingenuità dell'italiano medio di quei tempi, ancora fiducioso nelle
istituzioni e ignaro delle sottotrame che la Cupola andava intessendo
nel substrato politico e culturale del Paese.
Arturo vive
un'infantile storia d'amore nella sua Palermo finendo col conoscere
alcuni dei personaggi più illustri della lotta alla mafia: il Dott.
Rocco Chinnici, il commissario Boris Giuliano il Generale Dalla Chiesa e
qui mi fermo per evitare spoiler vari.
La crescita del
protagonista avviene gradualmente, forse un po' troppo lentamente,
attraverso l'amore per la sua giovene compagna di scuola, la piccola
Flora interpretata nel ruolo adulto da Cristiana Capotondi, e
soprattutto la passione per il giornalismo trasmessagli dall'inquilino a
cui viene affittato l'appartamento dle nonno (interpretato da Claudio
Gioè che, ironia della sorte, aveva dato il volto a Totò Riina de "Il
Capo dei Capi").
La maturazione di Arturo è fatta di delusioni e soprattutto di una scia di cadaveri che la Mafia dissemina piano piano nella sua Palermo tramutando l'ingenuità del bimbo nella consapevolezza di un vent'enne, ancora innamorato dlela sua Flora ma con la voglia di scrivere e di protestare contro le angherie della mafia.
In questo
primo lungometraggio non tutto fila liscio. Come anticipato alcuni
passaggi possono risultare un po' troppo diluiti, ma fortunatamente il
cast funziona alla perfezione così come l'immancabile ironia e comicità
del regista che è capace di suscitare ilarità nonostante gli orrori che
racconta.
Magistrale l'inizio che il concepimento di Arturo
durante l'assassinio di Michele Cavataio da parte della Famiglia
Badalamenti. La genialità di quest'opera sta infatti proprio nel
sapiente utilizzo del dupice binario di narrazione, esattamente come
avviene nel programma "Il Testimone", e nonostante la durata più estesa
rispetto al format televisivo, il tutto riesce alla perfezione senza mai
stancare.
L'importante, come sempre, è porsi dinanzi la pellicla con la consapevolezza che si tratta di un racconto di fantasia inserito, o meglio intrecciato quasi alla perfezione, in mezzo ad alcuni dei fatti di cronaca più incresciosi degli anni '90.
Il vero orrore
sta sempre nella quotidianità con cui alcuni concittadini del
protagonista vivono gli omicidi di chi ha disperatamente cercato di
migliorare la vita di gente come loro. Questo messaggio si respira molto
bene in ogni singolo fotogramma così come è presente una grandissima
voglia di rinascita e di rivincita che trova specchio nella storia di
amore tra Arturo e Flora.
Credo che con questa prima prova Pif
abbia saputo cogliere ampliamente l'insegnamento datogli da Marco Tullio
Giordana (Diliberto è stato aiutoregista ne "I 100 passi") riuscendo
però a condire il messaggio di fondo con una grandissima ironia e
sagacia senza tralasciare l'enorme rabbia e il desiderio di lotta
scaturito dal profondo amore per la sua Palermo e la sua Sicilia.
Il film è sostenuto dal comitato Addiopizzo, movimento cittadino nato a Palermo come segno di protesta e opposizione alla mafia.
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